A seguito di indagini dirette in Basilicata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Potenza e condotte dal personale della DIGOS di Matera, nella mattinata di oggi, mercoledì 20 dicembre, è stata data esecuzione ad un’ordinanza applicativa disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Potenza nei confronti di 11 indagati.
Cinque sono le misure cautelari disposte in carcere, una agli arresti domiciliari, tre all’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria e due al divieto di esercizio delle attività imprenditoriali e di uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese.
I dettagli sono stati forniti durante una conferenza stampa tenutasi presso gli uffici della Procura della Repubblica di Potenza alla presenza del Procuratore Capo f.f., dott. Francesco Basentini, nella foto.
Questi sono i nomi delle persone coinvolte nell’inchiesta:
1) Tanveer Muhammad, nato a Sardoga (Pakistan) 15/12/1986 -.custodia cautelare in carcere arrestato a Trento;
2) Giuseppe Corrado, nato a Potenza il 6/10/1971 – arresti domiciliari presso la propria abitazione di Nova Siri (MT);
3) Yaqoob Faisal Muhammad, nato a Sardoga (Pakistan) l’1/1/1971 – obbligo presentazione Polizia Giudiziaria;
4) Ali Mastan, nato a Sardoga (Pakistan) il 5/05/1964 – obbligo presentazione Polizia Giudiziaria;
5) Antonio Corrado nato a Nova Siri l’11/5/1969 – divieto di esercizio attività imprenditoriale;
6) Giuseppe Montagna, nato in Puglia, a Taranto il 30/3/1965 – divieto di esercizio attività imprenditoriale.
Non è stato possibile dare esecuzione a 4 misure di custodia cautelare in carcere ed a una misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, a carico di cittadini pakistani al momento irreperibili, due dei quali presunti promotori ed organizzatori dei due sodalizi oggetto d’idagine.
L’ordinanza cautelare rappresenta l’epilogo di una complessa attività d’indagine originata dalla ricorrente attività di analisi e monitoraggio compiuta dalla DIGOS della Questura di Matera, relativa ai flussi migratori in entrata nell’ambito provinciale di Matera negli anni 2012 e 2013 con particolare riferimento alla componente extracomunitaria proveniente dall’area centrale asiatica, a far data dai primi mesi dell’anno 2012, un quadro fenomenologico ritenuto meritevole di attenzione info-investigativa.
Si tratta di lavoratori stagionali, la maggior parte provenienti da diverse città della provincia pakistana del Punjab, a prevalente vocazione religiosa islamica che, dopo regolare assunzione per flussi migratori dell’anno 2012 alle dipendenze di aziende che svolgono attività a carattere stagionale, essenzialmente legate all’agricoltura nella fascia jonico-metapontina, non si erano presentati in Questura a Matera per formalizzare il rilascio del permesso di soggiorno.
L’ingresso, per motivi di lavoro nel territorio italiano è regolato con il sistema della quote annuali e la concessione del permesso di soggiorno è subordinato alla firma del contratto di soggiorno per lavoro tra lo straniero e il suo datore di lavoro.
Il contratto è stipulato presso lo sportello unico per I’immigrazione territorialmente competente della Prefettura, nel quale è concentrata la gran parte delle competenze nella procedura dell’accesso al lavoro degli immigrati.
La sottoscrizione del contratto di soggiorno costituisce requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Numerosissimi cittadini extracomunitari di nazionalità pakistana, entrati nel territorio nazionale, entro il termine consentito, con regolare visto di ingresso per motivo di lavoro, rilasciato dall’ambasciata Italia in Pakistan, si presentavano presso lo Sportello Unico per l’immigrazione della Prefettura di Matera, lì registravano il visto d’ingresso e dopo aver firmato il contratto di soggiorno e ricevuto il kit postale lo spedivano alla Questura – Ufficio Immigrazione per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno relativo al lavoro stagionale.
Invece, i lavoratori extracomunitari pakistani, oggetto di attenzione investigativa non si presentavano in Questura, nei termini di scadenza della validità del visto, al fine di completare I’iter giuridico finalizzato al rilascio del permesso di soggiorno.
Evitando la presentazione, così, si eludono i controlli identificativi, effettuati anche attraverso la comparazione tra il passaporto ed i rilievi foto dattiloscopici, previsti dal comma 2 bis dell’art. 5 del T.U. sull’immigrazione.
Il permesso di soggiorno, così, ottenuto avrebbe avuto necessariamente per legge una limitata durata che non poteva superare il periodo di validità del visto di ingresso della durata massima 9 mesi, quindi, alla scadenza del contratto di lavoro gli stessi sarebbero stati costretti a ritornare in Pakistan.
Non facendosi fotosegnalare e, quindi, identificare, avrebbero potuto all’atto di un’eventuale successiva emanazione di legge in sanatoria, da parte del governo italiano e sempre grazie alla compiacenza dei loro reclutatori, soggiornare illegalmente in Italia o in Europa ed avere la possibilità di trovare altri datori di lavoro favorevoli dietro compenso economico, avanzare infondate richieste di sanatoria dichiarando, così, di aver falsamente avuto alle dipendenze lavoratori extracomunitari a nero e privi del permesso di soggiorno.
Contratti di lavoro stagionali e, quindi, richieste di ingresso in Italia che venivano avanzate dai datori di lavoro italiani, sulla base di falsi presupposti lavorativi.
A conclusione di una lunga, complessa ed articolata attività investigativa, sono state deferite in stato di libertà alla competente Autorità Giudiziaria 119 persone, ritenute responsabili a vario titolo, in violazione del Testo Unico dell’Immigrazione ex D.lgs 286/1998 e s.m.i., dei reati di favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza illegale in Italia di cittadini extracomunitari di nazionalità pakistana che non avevano titolo di residenza permanente in Italia.
Tra i complessivi 129 capi d’imputazione contestati, sono stati anche accertati, reati in materia di falsità ideologica, anche con induzione in errore dei PP. UU. preposti alla trattazione delle pratiche di lavoro -soggiorno, operanti presso il SUI (Sportello Unico Immigrazione) della Prefettura e gli Uffici Immigrazione di diverse regioni del Sud Italia.
Inoltre, è stata accertata l’esistenza di due distinte associazioni a delinquere, operanti a tutt’oggi in Italia, con ramificazioni strutturali in Pakistan e aventi sedi operative in Nova Siri, in provincia di Matera, con a capo cittadini extracomunitari di nazionalità pakistana, regolarmente soggiornanti sul territorio dello Stato e a cui hanno anche aderito datori di lavoro, imprenditori agricoli italiani, residenti in provincia.
A capo dei due sodalizi criminali con strutture piramidali vi sono due persone.
Relativamente al primo, per come emerge dalle intercettazioni telefoniche, si tratterebbe di un appartenente ad una potente famiglia pakistana denominata “RAJE” (principi) che gestisce in tutto il mondo il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anche attraverso l’utilizzo e la predisposizione di falsi documenti validi per l’espatrio.
Relativamente al secondo, è stato accertato dagli investigatori che il 25 maggio del 2013, trovandosi in Italia, dopo aver appreso telefonicamente da una sua parente che era in corso un conflitto a fuoco in Pakistan tra il suo clan e quello di un’altra famiglia di Chawe Valle, dava indicazioni su come affrontare la criticità e sulle armi e munizioni da utilizzare, incitando i partecipanti ad avere fermezza e coraggio nella circostanza.
Durante le numerose telefonate ricevute ed effettuate venivano udite e registrate diverse raffiche e colpi di arma da fuoco.
Emergeva in tal senso il ruolo sociale, preminente e di rilievo che lo stesso ha in Pakistan nella regione del Punjabi nel distretto di Sargodha.
Affermava in tal senso di avere alte probabilità di diventare governatore della regione del Punjabi.
Significativa appare la circostanza che entrambi decidevano di costituire la sede operativa delle rispettive associazioni a delinquere a Nova Siri, in ragione della posizione geografica del Paese, al limite della provincia di Cosenza, in Calabria, al fine di evitare controlli e suscitare interesse degli organi di Polizia, desumibili dalla rilevante presenza in loco di cittadini extracomunitari di nazionalità pakistana.
Infatti, al fine di suscitare dubbi, gli stessi venivano regolarmente assunti da imprenditori agricoli della zona, ma senza mai lavorare nelle campagne, anche al fine di percepire indebitamente assegni di sostegno di indennità di disoccupazione dall’INPS.
Tuttavia entrambi avevano disponibilità di danaro e di alloggi a Nova Siri, in cui ospitare loro connazionali che a loro si erano rivolti per ottenere i titoli legittimanti il loro ingresso in area Shengen.
È stato, altresì, accertato che gli stessi nell’arco solare di un anno hanno affrontato diversi viaggi da e per il Pakistan e per alcune nazioni europee, sostenendo considerevoli spese economiche al fine di raggiungere diretti accordi con i loro connazionali disposti ad ottenere un titolo legittimante il soggiorno in Italia.
Gli accordi tra coloro che avevano intenzione di arrivare in Italia o entrare in area Shengen e gli appartenenti ai sodalizi criminali, avvenivano in Pakistan.
Per entrare in Italia ed ottenere un visto di ingresso regolare, per lavoro stagionale ma senza garanzie occupazionali e alloggiative, venivano corrisposti mediamente a persona dai 10mila ai 12mila euro.
Anche i cittadini extracomunitari che soggiornavano illegalmente in Italia, in Francia e Spagna, si rivolgevano ai consociati per trovare datori di lavoro disposti ad avanzare mendaci richieste di sanatoria dietro compenso personale dai 5mila ai 6mila euro a persona.
È stato anche accertato che diversi cittadini extracomunitari di nazionalità pakistana domiciliati in Francia e Spagna dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno in Italia ritornavano nei Paesi Europei di provenienza per svolgere attività lavorativa.
Il motivo, secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche e che in Italia le maglie della legislazione, in materia di immigrazione, è meno rigida rispetto a quella degli altri Paesi, da qui il nome convenzionale dell’operazione, “RED ZONE” dato all’indagine.
Infine, come si evince nel comunicato stampa consegnato dalla Procura della Repubblica del capoluogo lucano, è stato denunciato anche un funzionario amministrativo della Prefettura di Bari, P.P. U.I.J. per aver avanzato una domanda di emersione, viziata da elementi di falsità nei confronti di un cittadino extracomunitario di nazionalità pakistana, con il coordinato apporto del presunto capo di uno dei sodalizi criminali.
Rocco Becce
Direttore Editoriale