Più volte, in questi ultimi mesi, nelle nostre news, ci siamo interessati poco o quasi niente di politica, la solita di sempre e senza alcuna novità per i più deboli, ma di tante altre situazioni che non vanno proprio nelle nostre città e nel nostro Paese.
Ammalati di tumore, invalidi, disoccupati, persone bisognose che lo Stato ha abbandonato in più modi, compreso gli extracomunitari, chi in un letto e chi in strada, ed è ora che qualcosa cambi perchè davvero non ne possiamo più ed è proprio per questo che dopo mesi e mesi di battaglie, purtroppo si ritorna punto e a capo in questa Italia, dove soltanto politici di ogni area e lobby di ogni tipo, legate tra loro, hanno un ritorno di interessi, basti pensare agli stipendi e vitalizi che sono entrati per anni e anni nelle loro tasche, senza alcuna vergogna, mentre noi in pensione neanche a parlarne, per colpa loro sicuramente e dopo l’inganno perpetrato con la porcheria della legge Fornero, voluta da tutti, tranne dalla Lega, contraria anche oggi, e non votata dal M5s, all’epoca ancora non in Parlamento.
E, così, dopo questa breve premessa, ritorniamo sulla vergognosa storia della 53enne D.L., abbandonata da tutte le istituzioni e varie sigle sindacali, nata ad Avigliano e residente da 14 anni a Potenza, responsabile della mensa agenti della “Casa Circondariale Antonio Santoro” di Potenza, licenziata nell’agosto 2015, mentre effettuava cicli di radioterapia al Crob di Rionero in Vulture dalla ditta appaltatrice “Slem” di Piano di Sorrento, in provincia di Napoli, che non paga stipendi anche a dipendenti di altre strutture lavorative lucane, con un accordo dinanzi al giudice del lavoro, ma senza onorare gli accordi per il reintegro al lavoro, ma sopratutto il pagamento delle spettanze arretrate alla lavoratrice che ammontano a circa 4mila euro.
Senza parlare, poi, della precedente ditta pugliese “Nuovi Orizzonti Sociali” di Mesagne, fallita tranquillamente, che deve dare ancora, dopo 4 anni, circa 5mila euro ad ogni dipendente delle tre carceri lucane di Potenza, Melfi e Matera.
Oggi, mercoledì 14 febbraio, giornata di San Valentino, festa dedicata agli innamorati, voglio parlarvi di un’altro caso molto importante a cui ci tengo davvero tanto e che vi farà capire molto di più come veramente vanno certe situazioni in Italia.
A scrivere questa lettera, inviata ieri in redazione, che pubblichiamo integralmente, è Marietta Di Sario, una disabile lucana che spiega la sua grave problematica e che invitiamo tutti a leggerla molto attentamente.
“Nel 2020, in Italia ci saranno 4,8 milioni di disabili ed io faccio parte di quel numero, ma non sono un numero, sono una persona, ho un nome e una storia.
“Sono lucana e la mia storia inizia a 4 anni, l’età in cui i bambini dovrebbero correre e giocare, invece, la poliomielite bussa alla mia porta e pochi anni dopo non cammino più e da allora la carrozzina diventa la mia inseparabile compagna di vita.
Nel momento in cui vi scrivo, badate bene, grazie ad altre mani, perchè le mie non le muovo, sono invalida civile al 100% e non uso gli arti inferiori e superiori.
I miei sono stati anni di sofferenze, del corpo e del cuore, e di lotte portate avanti con tenacia.
Da sola non riesco a compiere neppure il più banale gesto e per stare seduta sulla carrozzina devo portare un busto rigido che mi sostiene.
Dipendo completamente, in tutto e per tutto, dagli altri e chi ama l’autonomia e la libertà, chiuda un attimo gli occhi e provi a pensare a come ci si sente, anche solo per bere un bicchiere d’acqua, sfogliare un giornale, voltarmi nel letto, scrivere un messaggio.
La mia vita è stata sempre una dura prova, oltre alla poliomielite e ai numerosi interventi chirurgici alle articolazioni, ho dovuto affrontare un’operazione per asportare un meningioma al cervello e il mio corpo è stato flagellato, ma nonostante tutto non ho mai smesso di amare la vita e affrontare con fede la sofferenza.
Convivere con essa, accettarla e accoglierla per testimoniare il valore e la bellezza della vita, sono tappe di un cammino lungo e difficile, ma che con gioia percorro ogni giorno e che mi conduce ad amare anche il mio corpo provato e la mia vecchia carrozzina.
Il più grande sostegno, in questi anni, mi è arrivato dalla mia famiglia e dall’UNITALSI, ma è giusto che il più grande aiuto a un disabile arrivi da un’associazione di volontari, mentre ci si debba sentire abbandonati dallo Stato?
Oggi, dopo tutti questi anni, mi trovo a riflettere su come sia più semplice per me accettare la mia malattia alla luce della fede piuttosto che rassegnarmi all’indifferenza di chi ci governa e ad un immobilismo legislativo che ferisce e abbandona i cittadini meno fortunati e più soli.
Nel 2020, vi dicevo ad apertura della lettera, i disabili italiani saranno 4,8 milioni, un numero che nasconde di ognuno un nome, una storia di sofferenza e la speranza che qualcuno si accorga di lui, milioni di fantasmi inesistenti per lo Stato e i dati Censis parlano chiaro.
Il vero perno del welfare è la famiglia, sulla quale ricade la responsabilità e il peso dell’assistenza della persona con disabilità, soprattutto in età adulta. I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie con sostegni istituzionali limitati.
Dal confronto con gli altri Paesi europei, inoltre, emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità è molto inferiore alla media europea.
L’assenza di politiche serie e concrete per i disabili gravi mi ha costretta a lasciare un piccolo paese della Basilicata, San Chirico Raparo, in provincia di Potenza, a cui sono molto legata e dove sono vissuta per più di cinquanta anni con tante difficoltà.
Fino al 1992 ho abitato in una casa di 16 metri quadri, con un bagno largo mezzo metro e alto 1 metro, separato da una tenda dal resto dell’appartamento e per raggiungere la strada dovevo superare circa 40 gradini che per me erano un muro enorme, invalicabile e l’unica possibilità per uscire di casa era quella di essere portata in braccio.
Finalmente, nell’aprile del 1992 mi è stato assegnato un alloggio idoneo, privo di barriere architettoniche e dopo qualche anno mi hanno proposto di acquistarlo.
Nell’anno 2000 è morta mia madre, sono rimasta sola, ma ho scelto di restare nella mia città, nella mia amata Basilicata, dove le risorse economiche non erano sufficienti per vivere dignitosamente.e le esperienze avute con alcune badanti sono state disastrose e allora rimaneva un’unica soluzione, quella di trasferirmi, in Emilia Romagna, a Carpi, vicino Modena, dalla famiglia di mia sorella, quella famiglia sulla quale ricade quotidianamente la responsabilità e il peso dell’assistenza ad un disabile.
Per garantirmi un’assistenza continua, mia sorella ha dovuto rinunciare al suo lavoro in fabbrica, nel cambiare residenza la casa di San Chirico è diventata seconda casa e, oltre a vivere il dispiacere per il distacco, mi sono ritrovata anche a pagare l’ICI sull’unica casa di mia proprietà, che non ho venduto per tornare nel mio paese natale quando prima possibile e visitare i miei cari al cimitero.
Con questa lettera voglio chiedervi di aprire gli occhi e il cuore sulla dolorosa e gravissima realtà dei disabili gravi e dei familiari che li assistono, specie in questo momento di elezioni dove sembra che i politici facciano a gara a gettarsi fango addosso senza soffermarsi sulle vere esigenze di una parte di popolo che sembra invisibile, solo un numero, ma c’è.
Una sola persona non è sufficiente per assistere un disabile grave 24 ore su 24, per la verità non ne basterebbero nemmeno due, in casi come il mio, e i sostegni al reddito non bastano a garantire una vita dignitosa.
Mia sorella mi assiste con amore e dedizione, ho accanto dei familiari con un cuore grande ma mi rendo conto che assistere un disabile grave richiede forza fisica, risorse economiche, sacrifici e rinuncia alla privacy, al proprio tempo libero e persino al lavoro e non sarebbe giusto venire incontro a queste famiglie?
Nel 2015 al Fondo per le non autosufficienze sono stati tagliati 75 milioni di euro, invece di aumentare il sostegno alla disabilità, si costringe a fare dell’assistenza un onere esclusivo della famiglia.
La separazione tra il mondo delle Istituzioni e la vita sociale reale impedisce ai rappresentanti della “cosa pubblica” di conoscere le proporzioni realistiche dei costi determinati dall’esistenza di gravi disabilità.
Condivido a pieno queste riflessioni perchè nel caso di una disabilità grave, come la mia, il trasferimento in altra città è stato un passo obbligato, tuttavia mi trovo nella “trappola della burocrazia” che non discerne le situazioni caso per caso e che mi grava di tasse più alte sulla casa faticosamente ottenuta, quando le risorse economiche già scarse occorrerebbero per ben altre attività prioritarie quali, a titolo esemplificativo, medicinali e terapie.
Spesso i familiari sono costretti ad abbandonare il lavoro, per cui a chi si occupa del disabile dovrebbe essere riconosciuto uno status giuridico cui deve corrispondere un riconoscimento economico, perché oltre ad adempiere a un proprio dovere morale sostituisce lo Stato, laddove questi non assolve la funzione costituzionale di farsi carico dei disabili generando un risparmio economico notevole in termini di spese assistenziali e anche ospedaliere, determinato dal ricovero in famiglia e sotto l’assistenza di un congiunto.
La Legge 104/92 prevede congedi retribuiti per due anni, tuttavia, dopo 2 anni, il disabile non guarisce, la sua è una condizione perpetua ed in quest’ottica, s’inserisce la proposta di prevedere la tredicesima sulle indennità di accompagnamento e il prepensionamento per i familiari che assistono disabili gravi e gravissimi.
La legge sul prepensionamento è importante per i familiari dei disabili per restituire loro un pò di vita, anche perchè nessuno sa seguire un disabile grave come un familiare stretto e quindi lo Stato deve permettere che questo sia possibile e poi rimane il problema delle false invalidità e lo Stato dovrebbe aumentare i controlli su quella che è una vera piaga.
Questa lettera non è solo un grido di denuncia, ma vuole essere anche un inno alla vita e al rispetto della vita, è il mio amore per essa che mi spinge a scrivere, ancora, nonostante sia stanca di lottare e di combattere per i diritti negati da una politica che pensa solo alla poltrona e ai propri stipendi, sempre più alti.
Eserciterò il mio diritto al voto, il prossimo 7 marzo, ma ammetto di aver perso la fiducia nei confronti di politici che pensano esclusivamente al proprio interesse, a trascorrere una vita fatta di sprechi, nell’indifferenza per chi soffre.
Non è un quadro semplicistico ma una realtà, che ormai non fa più scalpore, e sono certa di interpretare il pensiero di tutti gli italiani, mentre invito i politici a ospitare per una settimana un disabile gravissimo, con tutte le sue necessità di essere accompagnato in bagno, pulito, lavato e imboccato 24 ore su 24, solo allora si avrebbe la giusta cognizione di cosa serve a un disabile grave.
Vi invito a toccare con mano cosa sia la sofferenza, cosa significhi essere meno fortunati e a considerare i disabili non come un numero, ma come singole persone, ognuna di esse con un volto, un nome, una storia di dolore alle spalle, un futuro di fede.
Io vi ho detto il mio nome, ho raccontato la mia storia ed ora per voi non sono più un numero, una tra le tante e la mia voce la dedico alle persone che, come me, devono lottare per conquistare, giorno dopo giorno, una vita dignitosa.
La vita di ognuno può cambiare in un secondo e tutti potrebbero trovarsi a vivere sulla propria pelle l’esperienza di una sofferenza che rende impotenti e questa consapevolezza non deve spaventare, ma dovrebbe spingere ciascuno di noi a lavorare per costruire una società più giusta e solidale e le istituzioni non possono eliminare la sofferenza e il dolore, ma senza dubbio devono tutelare i più deboli e cogliere quelle sfide importanti che, se non hanno risposte concrete e immediate, alimentano ogni giorno di più, paura, disagio e disperazione.
Resto a vostra disposizione, per argomentare di persona su queste questioni e se volete contattarmi, vi prego di scrivermi all’indirizzo mail orianaramunno@hotmail.it che, come potete intuire, è l’indirizzo della persona che dovrà prestarmi le mani per rispondervi e sono certa di una vostra gentile risposta e di un impegno concreto per il futuro, con cordialità Marietta di Sario”.
Rocco Becce
Direttore Editoriale