I cittadini rom sono i primi sospettati per i reati associati alla criminalità che vengono commessi in alcune città italiane, per il solo fatto di abitarci anche loro, ma da un recente rapporto curato dall’Associazione 21 Luglio, scopriamo che in Italia sono circa 180mila, di questi, circa 26mila, appena lo 0,04% della popolazione italiana, vivono in emergenza abitativa, ovvero, specifico in insediamenti formali e informali, in micro insediamenti e in centri di raccolta rom.
Negli ultimi 12 mesi la difficoltà di vita all’interno di tali spazi ha spinto alcune famiglie, sopratutto di nazionalità rumena, a spostarsi in altri Paesi o a rientrare nelle città di origine con conseguente leggero decremento delle presenze totali.
Il 43% dei nomadi negli insediamenti riconosciuti è di nazionalità italiana, il 55% è minorenne, oltre un terzo proviene dall’ex Jugoslavia, tra queste 3mila, senza cittadinanza, l’86% degli abitanti è della Romania, il 9% della Bulgaria e 148 sono le baraccopoli presenti in 87 comuni di 16 regioni italiane, dove sono ospitati 16.400 nomadi, mentre 9.600 sono stimati all’interno di insediamenti cosiddetti informali e un quarto delle baracche si trovano a Roma, in 17 aree gestite dal comune vi sono anche 300 campi abusivi.
Il rapporto sottolinea che a vivere le tragiche conseguenze della segregazione abitativa sono molti minori, tra questi il 55% con gravi ripercussioni sulla salute psico-fisica e sul loro percorso educativo e scolastico e a incidere contribuiscono anche le condizioni abitative e l’odio è uno degli elementi che continua a caratterizzare la nostra società.
In Italia, soltanto negli ultimi 3 anni sono stati registrati 853 casi nei confronti di queste persone, nell’anno 2017 sono stati 182 gli episodi, di cui il 28,1% gravi, con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente 2016, in cui erano stati rilevati ben 172 episodi.
Per gli sgomberi forzati, il primato tocca a Roma con 33, seguito a ruota da Milano con 25, 96, invece, al Nord Italia, 91 al Centro e, infine, 43 a Sud.
E proprio contro i crimini d’odio, nel Lazio, a Roma, nella mattinata di oggi, giovedì 24 maggio, presso la sede della Direzione Centrale della Polizia Criminale, in via Torre Di Mezzavia 9/121, alla presenza di rappresentanti dell’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori) del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, si è svolto un meeting su questo tema, purtroppo, sempre di grande attualità, nel corso del quale molti rappresentanti si sono confrontati sulle attuali metodologie per la raccolta dei dati in materia.
A discuterne erano presenti le forze dell’ordine della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri, ricercatori di livello internazionale, esperti dell´U.N.A.R. (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le PP.OO.) della Presidenza del Consiglio dei Ministri e componenti di varie associazioni interessate, tra cui COSPE, Rete Lenford, Lunaria ed Arcigay.
Il coinvolgimento di rappresentanti della società civile ha fornito sicuramente un contributo fondamentale ai fini della comprensione e del superamento del c.d. fenomeno dell’under-reporting, ovvero della tendenza delle vittime di reati d’odio a non denunciare i crimini subiti.
In tale contesto sono stati, quindi, analizzati i risultati della ricerca condotta nell’ambito del progetto europeo “Facing All The Facts!”, finanziato dalla Commissione Europea e finalizzato alla produzione di moduli formativi online per il contrasto dei reati di matrice discriminatoria destinati alle forze di Polizia dei Paesi partecipanti al progetto che saranno presentati a fine 2018 e che seguiremo senz’altro anche noi.
La corrispondente Marianna Di Ciancia