“Apprendo nelle ultime ore, dalla cronaca e dai social network, che, in Basilicata, il Comune di Ruoti, in provincia di Potenza, non ha un medico di base. Leggo anche della preoccupazione dei cittadini e di come si sia messa in moto la macchina amministrativa. Mi sono molto preoccupata. Che fine ha fatto la dott.ssa Caterina Russillo, nella foto, che da circa trent’anni ha operato nel piccolo comune lucano? Le è successo qualcosa? Mi allarmo! E cosa scopro? Un suo comunicato in cui spiega e dichiara la sua regolare attività che, addirittura, si è intensificata nei giorni di emergenza “Covid–19” con un servizio anche per pazienti non suoi assistiti, com’è scritto nella nota.
È quanto informa una nota stampa inviata in redazione da Maria De Carlo, Presidente dell’associazione “Conduco un dialogo” e Direttore della nostra testata giornalistica online che aggiunge – un respiro di sollievo per una presenza come la sua di “medico di famiglia” della vecchia guardia, cioè secondo quella visione romantica a me tanto cara, e cioè di quel medico che vive incardinato nella comunità divenendone parte attiva. Di chi instaura un rapporto-relazione vivendo tra le famiglie e non solo frettoloso “dispensatore” di ricette per medicinali e certificati. Ma quale “medico di famiglia” che vive la comunità e conosce l’anima culturale del territorio. Entra nelle “case”, cioè nella parte più nascosta e più intima, crea un legame con il paziente, non si preoccupa solo della salute fisica ma anche di quella psichica (cfr giuramento d’Ippocrate). È il medico che trovi a qualsiasi ora (opportuna e sovente anche non opportuna). È quello che esercita la pazienza di chi non “sente”, ma “ascolta” i mali come un confessore. Che considera il paziente, non come un arto isolato dall’altro, ma persona nella sua completezza. E tutto ciò ovviamente è reso maggiormente possibile proprio dal tempo di inserimento in una comunità. Cerchiamo allora di comprendere cosa è accaduto. Alcuni passaggi.
1) Per quanto riguarda il servizio di assistenza medica, Ruoti rientra nell’ambito territoriale Ruoti-Filiano, scelta decisa sui tavoli competenti già da qualche anno.
2) A Ruoti si sono avvicendati negli anni diversi medici, e i cittadini erano liberi di scegliere il medico per farsi assistere, e l’ultimo ad andare via, ed è avvenuto in questi giorni, è stato il dott. Nicola Ioia, lasciando circa mille cittadini senza “il presidio medico di base”, come leggo sui social. Ed è stata questa “assenza” che ha generato preoccupazione non solo in me, creando equivoci e dando luogo ad una incompleta e inesatta lettura della realtà della comunità.
3) La domanda è questa. Quando un medico lascia la comunità, i pazienti da lui serviti sono obbligati a seguirlo o possono scegliere un medico che opera nella comunità di appartenenza e/o del presidio territoriale di competenza? Premesso che si lascia libertà di scelta al cittadino di scegliere il medico dell’ambito territoriale di appartenenza del Comune, che leggo essere attualmente quattro medici e potenzialmente “disponibili”, ovviamente liberi di scegliere ma col vincolo che il medico non sia oberato di pazienti. Ebbene il comunicato della dott.ssa Russillo chiarisce che lei “ha la possibilità e la disponibilità, leggo, di acquisire ancora 650 pazienti più eventuali posti in deroga”. Qual è la normativa in merito? Suppongo che a mettere ordine sarà l’ASP (Azienda Sanitaria Locale) di Potenza, organo competente in materia”.
“E, comunque – prosegue Maria De Carlo, nella foto – non si tratta di “spartire”, si spera, numeri secondo logiche burocratiche o di altra natura. Si tratta invece di optare per una logica di appartenenza comunitaria fatta di relazioni che contribuiscono al benessere dell’intera comunità attraverso la valorizzazione delle sue risorse. E, infatti, se i cittadini scelgono un medico di famiglia che appartiene al proprio comune, si garantiscono, o “difendono”, la presenza di unità medica a Ruoti. Condivido e richiamo due parole, tra le tante, che riecheggiano fortemente in questi giorni di grande tragedia per l’umanità, e sono unità e comunità. Questa emergenza ci ha riportati, seppure con violenza, a riconsiderare scelte e stili di vita sia come singoli che come comunità. Dovremmo ripartire da relazioni più autentiche e trasparenti finalizzate al benessere della comunità. Favorire un dialogo costruttivo per creare unità e non divisioni. Se, per una strategia di tutela, abbiamo chiuso “confini” a partire dalle mura domestiche, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, stiamo riscoprendo e rivalutando, tra le altre essenzialità esistenziali, il senso di appartenenza ad una comunità, la vita delle relazioni sociali e solidali e di cooperazione al bene di tutti, nei vari canali di valorizzazione delle risorse, si pensi, per fare un esempio, alla questione economica del “locale”. Un fare rete comunitaria”.
“E, in questa prospettiva di appartenenza alla comunità – conclude la nota stampa – recupero la figura del “medico di famiglia”, al di là dei numeri e della relativa provenienza. Esso diventa parte attiva di una comunità, punto di riferimento certo e con essa coopera. Ed è con il medico di famiglia, ripeto, al di là dei numeri e della provenienza, che Enti, Associazioni ed istituzioni del posto entrano in dialogo favorendo relazioni costruttive con l’obiettivo di creare, nella chiarezza, serenità, quella serenità di cui tanto la comunità, oggi necessita”.
Redazione