È stata denominata “Nemesi”, l’operazione portata a termine nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza di Ascoli Piceno e coordinata dalla locale Procura della Repubblica.
Nel mese di giugno, ha visto l’esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. presso il Tribunale, cui sono seguite perquisizioni nelle città di Ascoli Piceno e di Roma presso gli uffici di due imprese, di uno studio di un consulente e di filiali di due istituti di credito e la notifica di un ordine di esibizione documentale ad una società fiduciaria di amministrazione e trust di Milano, coinvolta in relazione a diversi rapporti fiduciari intestati a soggetti sottoposti alle indagini.
I militari hanno disvelato gli ambiti dell’internazionalità di uno dei maggiori crack degli ultimi anni nelle Marche di una società ascolana, dichiarata fallita dal Tribunale di Ascoli Piceno nel novembre del 2019, già operante nel settore dell’edilizia, depauperata dei propri beni, che annovera ad oggi un passivo di 298 milioni di euro, rappresentato in gran parte da circa 208 milioni di euro di debiti bancari.
Il tutto è stato ricostruito dagli investigatori della GdF che, tra l’altro, ha consentito di delineare condotte, vicende e distrazioni, poi, chiarite all’estero, a Lussemburgo attraverso l’esecuzione di una specifica Commissione Rogatoriale, avviata dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno, affidata all’Interpol.
È stata, così, delineata la posizione del management della società fallita, composta da 3 membri del Consiglio di Amministrazione, oggi indagati insieme ad altri 3 professionisti, denunciati per concorso, con l’ausilio di una società anonima lussemburghese, risultata riconducibile ai 3 membri del Consiglio di Amministrazione, “svuotata” degli asset patrimoniali di maggiore rilevanza finanziaria, al fine di inibire i creditori.
I reati fallimentari sono quelli a cui dovranno rispondere, a diverso titolo, le 6 persone indagate per bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata per distrazione.
È stata contestata anche la bancarotta fraudolenta preferenziale aggravata, determinata dalla cessione di un credito di 3,5 milioni di euro vantato dalla fallita nei confronti del comune di Guidonia Montecelio e dall’emissione di un bonifico bancario di 190mila euro in favore della già citata società direttamente controllata, operante nel settore delle energie rinnovabili, considerati pagamenti preferenziali a discapito dei creditori.
“Bancarotta fraudolenta aggravata da reato societario” è l’ultima delle fattispecie fallimentari connessa all’iscrizione di falsi valori, esponendo fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero e per importi rilevanti nei bilanci della società fallita dal 2011 al 2017, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari di tali informazioni, continuando così l’attività societaria in assenza di requisiti economico-patrimoniali, con la conseguenza di veder incrementato il deficit patrimoniale che, alla luce delle rettifiche che si sarebbero dovute apportare, è passato dai 3 milioni di euro del 2011 a più di 16 milioni di euro del 2017, aggravandone così il dissesto in atto di oltre 13 milioni di euro.
Per quanto attiene ai 3 professionisti, consapevoli dello stato di dissesto e partecipi alle delibere assembleari con cui erano state distratte le azioni della controllata green company, attraverso il loro parere favorevole espresso nelle relazioni di accompagnamento ai bilanci chiusi dal 2012 al 2017, attestavano falsamente la veridicità e la correttezza della situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico dell’esercizio, realizzando, così, omissioni agli obblighi di controllo e di vigilanza previsti dal codice civile a presidio dell’operato degli amministratori, alla denuncia di fatti censurabili, non impedendo la formazione e l’approvazione delle false comunicazioni sociali.
I titoli azionari dell’importante società operante nel campo della generazione di energia da fonti rinnovabili e l’intero capitale sociale di una società immobiliare, proprietaria di un’area edificabile di oltre 87mila mq., situata in località Tor Tre Teste del comune di Roma, per un valore di mercato complessivo di circa 70 milioni di euro, è la somma rientrata nella disponibilità della società fallita per effetto dell’esecuzione del sequestro preventivo richiesto dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno ed accolto dal G.I.P. presso il Tribunale alla stessa sede.
Sequestro preventivo significativamente confermato, nella solidità degli elementi di prova raccolti e delle indagini corrispondenti, dal Tribunale di Ascoli Piceno, che ha respinto il ricorso proposto dagli indagati e dai legali rappresentanti delle società che hanno subìto il sequestro.
Si sono quindi ristabiliti in capo alla società fallita i valori di cui era stata depauperata, consentendo il recupero, alla massa fallimentare, di attività per un valore di circa 70 milioni di euro.
Vincenzo Scarano
Collaboratore