Il 24 giugno del 1500 nacque la devozione dei “mercoledì” alla Vergine per volere di Federico II d’Aragona.
La statua della Vergine Maria del Monte Carmelo di Avigliano, onorata in canto come “sei Bella sei Bruna”, è opera di scuola napoletana del secolo XVII.
L’espressione è del tipo detto “della tenerezza” ovvero “glicofilusa” la “dolce amante” (non odigitria-colei che conduce, theotokos-madre di Dio, pahaghia-piena di santità) in cui i volti della Madre e del Figlio sono accostati in espressione di dolce intimità.
Essa riprende nella fattezza e nella tradizione l’icona e la devozione dell’icona napoletana venerata nella Basilica del Carmine Maggiore, detta icona della “Bruna”.
Si distingue, infatti, dalla tradizione carmelitana spagnola che è solita rappresentare la Vergine del Carmine statica in trono, con abito marrone e manto color avorio, mentre regge il Bambino e offre lo scapolare.
In particolare la statua di Avigliano presenta dettagli interessanti che aiutano a comprendere i valori della persona e del ruolo di Maria nel mistero della salvezza, ispiranti vita e pietà mariana collante per tutta la “nazione aviglianese”.
Si colgono i seguenti elementi simbolici e dettagli di cui si offre qui schematicamente il significato, secondo i canoni artistici dell’epoca:
• il contorno dorato del mantello della Vergine (oro = colore del sole) e l’orlo del suo abito anch’esso dorato, indicano la santità della Madre e del Bambino, sostenuti sempre dalla presenza di Dio;
• il colore azzurro-verde (colore dell’acqua marina, simbolo della fertilità) del manto di Maria proclama la sua Maternità divina;
• il colore rosso (simbolo dell’amore) della tunica sotto il manto e della quale una parte copre il bambino, indica il forte e tenero amore della Madre verso il suo Figlio Gesù;
• la stella con coda pendula del manto di Maria è segno della sua verginità perpetua prima, durante e dopo il parto;
• il colore verde della tunica del bambino indica la speranza della nostra fede;
• il volto del Bambino non esprime una sembianza fanciullesca, ad indicare l’eternità del Verbo fatto carne;
• i volti della Madre e del Bambino sono accostati in espressione di dolce intimità;
• gli occhi di Maria e del Bambino sono rivolti verso i fedeli ed esprimono la missione salvifica de Figlio e la partecipazione corredentrice di Maria.
La storia dei mercoledì.
Nell’anno Santo 1500 la confraternita dei cuoiai di Napoli, compì un pellegrinaggio a Roma per lucrare la indulgenze del giubileo indetto da Papa Alessandro VI.
Ad essi si unirono altri numerosi fedeli.
Il pellegrinaggio partì da Napoli il 7 aprile.
I pellegrini portarono con sé l’icona della Vergine Bruna, la Madonna del Carmine Maggiore.
Il tragitto fu percorso tutto a piedi, passando per Traietto e Sermoneta.
Durante il cammino, per intercessione della Madonna avvennero “più miracoli a diversi uomini in diverse Terre” come testimoniano le cronache dell’epoca.
Giunto il pellegrinaggio a Roma il 13 aprile, l’immagine della Bruna rimase esposta alla venerazione nella Basilica Vaticana, ove ricevette l’omaggio dello stesso Pontefice Alessandro VI.
L’affluenza del popolo romano fu tale che lo stesso Papa diede, pochi giorni dopo, l’ordine ai pellegrini napoletani di partire dalla città “per dubbio che per detta icona non fusse levata la perdonanza a Santo Pietro et alli altri luoghi de Roma”.
Cosi, i pellegrini ripresero il 18 aprile la strada del ritorno, giungendo il 25 dello stesso mese a Napoli.
Pure nel viaggio di ritorno a cui si unirono altri pellegrini lungo il cammino si ripeterono grazie e prodigi per intercessione della Madonna.
L’accoglienza della città partenopea alla venerata immagine che tornava alla sua chiesa, fu trionfale.
Per intercessione della Bruna continuarono “multi miracoli de surdi, et cechi et stroppiati” e grazie spirituali e temporali numerose.
Ben presto “quasi tutto lo regno venne in Napoli con le processioni a visitare la detta figura de Santa Maria de la Bruna, et vennero tutti scalzi, chi con torce et chi con calici d’argento”.
Per questo l’icona mariana non venne rimessa nella primitiva sede della Basilica del Carmine Maggiore, ma fu collocata sull’altare maggiore in una edicola lignea, al posto del quadro che lo precedeva e che raffigurava l’Assunta, il quale fu collocato poi nella sala capitolare del convento.
Per ordine di Federico II d’Aragona il 24 giugno dello stesso anno 1500 si radunarono nella chiesa del Carmine molti malati per implorare dal cielo, attraverso la mediazione materna di Maria, la sospirata salute.
In seguito si parlò di guarigioni avvenute.
Quel 24 giugno era un mercoledì.
Questo fatto determinò la scelta di venerare in modo particolare in questo giorno della settimana la Vergine Bruna.
Nacquero, così, i “mercoledì del Carmine” una pia pratica che ben presto da Napoli si diffuse non solo in tutto l’antico Regno di Napoli, ma anche fuori di esso specialmente nelle chiese dell’ordine Carmelitano.
La pia pratica del “mercoledì” continua ancor oggi, e il pio pellegrinaggio permane come realtà viva nella pietà dei napoletani verso la Vergine Bruna ed in tutti i santuari carmelitani del mondo.
I mercoledì al Monte Carmine di Avigliano sono, dalla fine del ‘600 ad oggi, un’interrotta tradizione di fede che unisce le varie realtà del “commonwealth” aviglianese.
Ad informarlo è Claudio Mancusi, Cappellano Militare.
Redazione