334 persone sottoposte alla misura cautelare, 260 ristrette in carcere, 70 agli arresti domiciliari e 4 sottoposti al divieto di dimora, tutti indagati a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio ed altri numerosi reati aggravati dalle modalità mafiose.
Sono questi i numeri di arresti eccellenti eseguiti all’alba di oggi, giovedi 19 dicembre, tra l’Italia e l’estero, da 2.500 Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Vibo Valentia, in Calabria, su ordine emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Catanzaro.
Il tutto è stato eseguito con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, di personale del GIS, del 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania, del NAS, del TPC, dei quattro Squadroni Eliportati Cacciatori, dell’8° Elinucleo CC e unità cinofile.
L’operazione, denominata “Rinascita–Scott“, ha disarticolato tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese, facente capo alla cosca “Mancuso” di Limbadi.
Contestualmente all’ordinanza di custodia cautelare, i militari dell’Arma hanno anche notificato un provvedimento di sequestro beni per un valore di circa 15 milioni di euro.
Gli arresti eseguiti oggi, tra cui vi sono anche nomi importanti, sono frutto di articolate indagini durate diversi anni grazie ad intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni e controlli sul territorio e, oltre alla Calabria, ha interessato varie regioni d’Italia dove la ‘ndrangheta vibonese si è ben ramificata.
Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata, sono le regioni coinvolte.
Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati anche all’estero, in Germania, Svizzera e Bulgaria, in collaborazione con le locali forze di Polizia, in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’Autorità Giudiziaria competente di Catanzaro.
I dettagli dell’operazione sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa svoltasi durante la mattinata, nella sede della Procura della Repubblica di Catanzaro, alla presenza del Procuratore Capo, dott. Nicola Gratteri, del Comandante del Ros, Generale di Divisione, Pasquale Angelosanto e del Comandante della Legione Carabinieri Calabria, Generale di Brigata, Andrea Paterna.
“Tutto è partito dal lontano 16 maggio del 2016, giorno in cui mi sono insediato qui, e per me era importante avere un’idea, una strategia, un sogno, una rivoluzione”.
Questo è stato il primo commento del Procuratore Capo, dott. Nicola Gratteri, nella foto, durante l’incontro con gli operatori dell’informazione.
“Smontare la Calabria come un Lego e poi rimontarla piano piano è ciò che ho pensato sin dal primo giorno dal mio insediamento – ha anche aggiunto, spiegando, inoltre – che era necessario fare sinergia, mettere a frutto l’intelligenza e la professionalità dei miei ragazzi, tutti magistrati giovani e straordinari”.
Insomma una giornata davvero importante, in cui ha privilegiato il valore degli investigatori che ogni giorno rischiano la propria vita per il bene del nostro Paese e a tutela dei nostri valori.
I provvedimenti scaturiscono da un’articolata attività investigativa condotta dal Raggruppamento e dal Comando Provinciale di Vibo Valentia in direzione del contesto ‘ndranghetistico vibonese, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.
Le indagini hanno consentito di ricostruire con completezza gli assetti di tutte le strutture di ‘ndrangheta dell’area vibonese e fornito un’ulteriore conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta, al cui interno le strutture territoriali locali, di ‘ndrine, godono di un’ampia autonomia operativa, seppur nella comunanza delle regole e nel riconoscimento dell’autorità del crimine di Polsi.
Infatti, come informa una nota del Comando Provinciale Carabinieri di Vibo Valentia, è stato documentato l’esistenza di strutture quali società, locali e ‘ndrine, in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirvi capillarmente ogni attività lecita o illecita; lo sviluppo di dialettiche inerenti alle regole associative, nello specifico, sulla legittimità della concessione di doti ad affiliati detenuti e sui connessi adempimenti formali; l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti della società maggiore, attestato dal sequestro di alcuni pizzini riportanti le copiate; l’operatività di una struttura provinciale che riguarda il crimine della provincia di Vibo Valentia, con compiti di coordinamento delle articolazioni territoriali e di collegamento con la provincia di Reggio Calabria e Polsi, quale vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
A capo della citata struttura si sono alternati, negli anni, esponenti della cosca “Mancuso”, tra cui Giuseppe Mancuso, di anni 70, Pantaleone Mancuso, di anni 58 e, da Luigi Mancuso di anni 65, che proprio in tale ruolo di vertice ha governato gli assetti mafiosi della provincia, riuscendo anche a ricomporre le fibrillazioni registrate negli anni tra le varie consorterie.
Oltre ad acclarare l’esistenza del citato crimine della provincia di Vibo Valentia, le investigazioni hanno consentito di censire l’esistenza della locale di Limbadi, egemonizzata dall’anonima cosca avente quale capo Luigi Mancuso che, anche durante la sua detenzione, impartiva le disposizioni o comminava agli altri sodali le sanzioni, curava i rapporti con le altre articolazioni vibonesi, dirimeva i contrasti interni ed esterni e curava, talora anche personalmente, la conduzione delle varie attività criminali.
I principali collaboratori di Luigi Mancuso, sono stati individuati in Pasquale Gallone, Giovanni Giamborino e nella coppia Gaetano Molino–Gianfranco Ferrante di Vibo Valentia città, la quale riunisce le ‘ndrine dei “Lo Bianco–Barba”, che ha tra i suoi elementi apicali Paolino Lo Bianco, Filippo Catania, Antonio Lo Bianco, Vincenzo Barba e Raffaele Franzè, inseriti nella società maggiore di Vibo Valentia.
Gli ultimi due fungevano anche da contabili della ‘ndrina; “Camillò–Pardea–Ranisi”, operante nei quartieri cittadini di Cancello Rosso e di San Leoluca, capeggiata fino al maggio 2016 da Andrea Mantella, poi divenuto collaboratore di giustizia; “Pugliese–Cassarola”, al cui vertice è risultato Rosario Pugliese, detto Saro; locale di Filandari e Ionadi, capeggiata da Leone Soriano e Giuseppe, dell’omonima cosca; locale di Mileto, sotto l’egida della cosca “Pititto–Prostamo–Iannello–Mesiano“.
Un suo componente, Giuseppe Mangone, curava il collegamento con la locale di Limbadi e si occupava della compravendita e gestione di terreni; locale di Piscopio di Vibo Valentia, diretta da Salvatore Giuseppe Galati che annovererebbe tra gli affiliati anche l’esponente politico Pietro Giamborino, che avrebbe anche mantenuto i rapporti con membri di altre articolazioni della ‘ndrangheta, i “Fiarè“, i “Razionale” e i “Gasparro” e curato le relazioni con settori della Pubblica Amministrazione e delle professioni per la risoluzione dei vari problemi dell’organizzazione; locale di San Gregorio d’Ippona, guidata dalle cosche “Fiarè–Razionale–Gasparro“.
Elementi apicali sono risultati Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, il primo anche con compiti di gestione economico-finanziaria della struttura e componente del crimine dell’intera area vibonese, in stretto rapporto con esponenti di primo piano di altre articolazioni della ‘ndrangheta, compresi Luigi Mancuso e Giuseppe Antonio Accorinti, nonchè con colletti bianchi, quale l’avv. Giancarlo Pittelli, massone ed ex-parlamentare; locale di Stefanaconi, capeggiata da Salvatore Patania, elemento dell’omonima cosca, in rapporti stabili con i “Lo Bianco–Barba” di Vibo Valentia; locale di Sant’Onofrio, diretta dal capo società Pasquale Bonavota, dell’omonima cosca, coadiuvato da Domenico e Nicola Bonavota, nonchè da Domenico Cugliari.
Le indagini hanno anche documentato un summit, avvenuto nel maggio 2017, finalizzato a ricomporre pregressi dissidi tra i “Bonavota” ed i “Mancuso”, con conseguente riavvicinamento alla società di Sant’Onofrio al crimine vibonese.
In tale circostanza, gli affiliati hanno discusso anche sulle doti, cariche e procedure di formalizzazione di una cosca locale.
Nella sfera d’influenza santonofriese sono state ricondotte anche la ‘ndrina di Pizzo e quella di Filogaso e Maierato, diretta da Salvatore Francesco Mazziotta che tra l’altro gestiva, anche direttamente, le attività imprenditoriali d’interesse, intestate a prestanome e manteneva rapporti con l’amministrazione comunale di Pizzo, convogliando i pacchetti di voti sui candidati vicini alla ‘ndrina; locale di Zungri, sotto l’influenza delle cosche “Accorinti–Barbieri–Bonavena” e diretta da Giuseppe Antonio Accorinti, esponente apicale anche a livello provinciale.
Subordinate all’articolazione zungrese sono risultate le ‘ndrine di Briatico Cessaniti e Vibo Marina; ‘ndrina di Tropea, attiva anche a Ricadi, dove è stato accertato il ruolo di co-dirigenza esercitato da Antonio e Francesco La Rosa, in costante collegamento con la consorteria dei “Mancuso” di Limbadi.
In merito alla cosca “Mancuso”, oltre al ruolo di polo di riferimento dell’ampia rete delle strutture ‘ndranghetiste vibonesi, è chiaramente emersa anche la sua rilevanza a livello extraprovinciale, dimostrata sia dagli attuali e strutturati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i “De Stefano” di Reggio Calabria e i “Piromalli” di Gioia Tauro, sia dai rapporti intrattenuti con esponenti di “Cosa Nostra“, databili all’epoca pre-stragista.
Per quanto concerne la pluralità di condotte delittuose individuate nel corso delle indagini, è stato accertato in particolare l’ormai consolidata capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, operata con meccanismi sempre più sofisticati, grazie al contributo di professionisti collusi e dimostrata dalle numerose fittizie intestazioni documentate dalle indagini e da svariate operazioni di riciclaggio svolte nella provincia vibonese con l’acquisto di strutture turistico-alberghiere, bar, ristoranti, imprese operanti nel settore alimentare e della distribuzione ed investimenti nel settore immobiliare svolti da prestanome, con la partecipazione ad aste pubbliche per l’acquisto di terreni, immobili, autovetture di pregio, tramite terzi soggetti, a Roma per la creazione di una rete di negozi operanti nel settore calzaturiero e l’apertura di una fabbrica, attraverso un circuito societario facente capo a società di diritto britannico controllate da articolazioni dell’associazione, a San Giovanni Rotondo l’acquisto di una struttura turistico-alberghiera in società con imprenditori lombardi in difficoltà economiche, all’estero, nel Regno Unito, tramite la creazione di reti societarie, necessarie a simulare operazioni commerciali per ripulire il denaro di provenienza delittuosa, successivamente investito in imprese operanti nel territorio italiano; l’accaparramento di terreni rurali nella provincia vibonese ottenuto con modalità estorsive; la sistemica pressione estorsiva svolta nei confronti dei commercianti e degli imprenditori, costretti, in cambio della protezione, a garantire la consueta messa a posto ammontante, di massima, al 3% del valore dei lavori svolti, l’assunzione di personale segnalato dalle cosche e l’imposizione di forniture; l’usura svolta in modo massivo nei confronti di commercianti ed imprenditori in difficoltà; il traffico di sostante stupefacenti; la commissione di danneggiamenti perpetrati tramite incendi ed esplosioni di colpi d’arma da fuoco; il controllo mafioso dei servizi funerari; la consumazione, nel periodo 1996-2017, di 4 omicidi e di 3 tentati.
Oltre al ritrovamento di pizzini, a dimostrazione dell’elevato livello di pericolosità dell’associazione, oltre al sequestro, in più occasioni, di numerose armi comuni e da guerra, 11 tra pistole e revolver, 12 tra fucili, carabine e mitragliatori, oltre a munizionamento di vario calibro, è emersa la costante ricerca di contatti con esponenti politici, massoni, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria, finalizzati al perseguimento degli illeciti fini sociali, in taluni casi conseguiti.
Particolarmente significative, al riguardo, sono risultate le posizioni di Giancarlo Pittelli, avvocato catanzarese, già Parlamentare di “Forza Italia“, iscritto al G.O.I., che, ritenuto partecipante all’associazione mafiosa, avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale; Pietro Giamborino, già consigliere della Regione Calabria, ritenuto formalmente affiliato alla locale di Piscopio, il quale avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua ascesa politica, divenendo, di fatto, uno stabile collegamento dell’associazione con la politica calabrese, funzionale alla concessione illecita di appalti pubblici e di posti di lavoro per affiliati o soggetti comunque contigui alla consorteria; Francesco Stilo, avvocato lametino, che avrebbe fornito all’organizzazione criminale uno stabile contributo, reperendo notizie coperte dal segreto istruttorio e garantendo il flusso di notizie proveniente da esponenti di vertice detenuti; Gianluca Callipo, all’epoca dei fatti sindaco di di Pizzo Calabro, il quale, proprio in relazione al suo ruolo politico ed amministrativo, avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli al sodalizio, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali; Filippo Nesci , Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Vibo Valentia e Comandante della Polizia Locale del capoluogo, ritenuto responsabile di episodi di corruzione in favore di esponenti dell’associazione; Enrico Caria, all’epoca dei fatti Comandante della Polizia Locale di Pizzo, in concorso tra gli altri con Gianluca Callipo, avrebbe agito nell’interesse dei “Mazzotta”, egemoni sul territorio, adottando condotte per lo più omissive.
Questi sono i nomi degli indagati, presunti colpevoli, di ogni età, finiti in carcere, forniti alla fine dell’importante operazione che ha portato alla luce crimini di ogni genere.
Abrogio Accorinti; Angelo Accorinti; Giuseppe Antonio Accorinti; Pietro Accorinti; Rosario Domenico Aiello; Serafino Alessandria; Francesco Amabile; Francesco Angelieri; Mario Artusa; Maurizio Umberto Artusa; Michele Manuele Baldo; Bruno Barba; Francesco Barba; Nicola Barba; Giuseppe Antonio Raffaele Barba; Vincenzo Barba; Antonino Barbieri; Francesco Barbieri; Giuseppe Barbieri; Michelangelo Barbieri; Onofrio Barbieri; Antonio Barone; Michele Paolo Antonio Basile; Michele Battaglia; Luca Belsito; Rocco Belsito; Lucio Belvedere; Attilio Bianco; Francesco Bognanni; Domenico Bonavota; Michele Bonavota; Nicola Bovanota; Pasquale Bonavota; Salvatore Bonavota; Gianluca Callipo; Domenico Camillò; Giuseppe Camillò; Michele Camillò; Francesco Cannatà; Antonio Gaetano Cannatà; Domenico Cristian Capomolla; Filippina Carà; Paolo Carchedi; Enrico Caria; Francesco Carnovale; Filippo Catania; Gianluigi Cavallaro; Fortunato Ceraso; Carmelo Chiarella; Domenico Cichello; Giacomo Cichello; Rocco Cichello; Luca Ciconte Francesco Collotta; Salvatore Contartese; Domenico Cracolici; Francesco Cracolici; Chiarina Cristelli; Antonio Crudo; Domenico Crudo; Domenico Cugliari; Giuseppe Cugliari; Raffaele Cugliari; Emiliano Antonio Nazzareno Curello; Saverio Curello; Salvatore Carmelo D’Andrea; Claudio Giovanni D’Andrea; Giuseppe D’Andrea; Antonio Pasquale D’Andrea; Paola De Caria; Paolo De Domenico; Onofrio D’Urzo; Mario De Rito; Orazio De Stefano; Massimilianto De Vita; Cincia De Vita; Antonino Delfino; Rocco Delfino; Filippo Di Miceli; Michele Dominello; Domenico Febbraro; Luigi Federici; Giueppe Feroleto; Gianfranco Ferrante; Marco Ferraro; Michele Fiorillo; Maurizio Fiumara; Francesco Fortuna; Salvatore Francesco Fortuna; Giuseppe Fortuna; Giovanni Franzè; Nazzareno Franzè; Domenico Franzone; Antonio Fuoco; Salvatore Furlano; Filippo Fuscà; Nicola Fuscà; Michele Galati; Cristiano Gallone; Francesco Gallone; Pasquale Gallonhe; Sandro Ganino; Maurizio Pantaleo Garisto; Luigi Garofalo; Francesco Gasparro; Gregorio Gasparro; Emilio Gentile; Sergio Gentile; Giovanni Giamborino; Gabriele Giardino; Girolamo Giardino; Michele Giardino; Gregorio Gioffrè; Leonardo Greco; Filippo Grillo; Alessandro Iannarelli; Antonio Iannello; Francesco Iannello; Antonio Ierullo; Davide Inzillo; Roberto Ionadi; Luciano Ira; Francesco Isolabella; Francesco La Bella; Emanuele La Malfa; Antonio La Rosa; Francesco La Rosa; Saverio Lacquaniti; Andrea Lagrotteria; Nazzareno Daniele Lagrotteria; Giovanni Lenza; Antonino Lo Bianco; Carmelo Lo Bianco; Domenico Lo Bianco; Giuseppe Lo Bianco; Leoluca Lo Bianco; Michele Lo Bianco; Nicola Lo Bianco; Orazio Lo Bianco; Paolino Lo Bianco; Salvatore Lo Bianco; Elisabetta Lo Iacono; Vincenzo Lo Gatto; Mario Lo Riggio; Antonio Lopez y Royo; Giuseppe Lopreiato; Rosetta Lopreiato; Gaetano Lo Schiavo; Antonio Macrì, Domenico Macrì; Luciano Macrì; Michele Pio Maximiliano Macrì; Michele Manco; Giuseppe Mancuso; Luigi Mancuso; Giuseppe Mangone; Vincenzo Mantella; Pantaleone Nicolino Mazzeo; Salvatore Francesco Mazzotta; Giuseppe Mercatante; Giuseppe Moisè; Gaetano Molino; Salvatore Morelli; Salvatore Morgese; Antonio Moscato; Domenico bruno Moscato; Nicola Murmora; Giorgio Naselli; Valerio Navarra; Gregorio Niglia; Domenico Paglianiti; Emiliano Palamara; Giuseppe Palmisano; Loris Palmisano; Costantino Panetta; Agostino Papaianni; Giuseppe Pardea; Francesco Antonio Pardea; Rosario Pardea; Francesco Parrotta; Alessio Patania e Antonio Patania.
Rocco Becce
Direttore Editoriale