“Ora mi chiamo Aisha, ho cambiato nome, scelto spontaneamente di convertirmi all’Islam e sono pronta a ritornare in Kenia. Durante la mia prigionia ho chiesto ai miei carcerieri il “Corano“, grazie a loro ho imparato anche un poco di arabo e la loro cultura”.
È questa, una parte delle dichiarazioni di Silvia Romano, cooperante italiana rapita all’estero, nel villaggio di Chakama, a novembre 2018, durante l’interrogatorio tenutosi ieri a Roma, in una caserma dei Carabinieri del ROS.
La ragazza di anni 24, arrivata ieri all’aereoporto di Ciampino, senza alcun distanziamento sociale, vestita con il classico vestito chiamato “jilbab“, che tra breve sarà nella sua abitazione di Milano, ha raccontato alcuni retroscena del suo rapimento, guardata a vista da alcuni dei suoi rapitori armati, in almeno 6 rifugi.
In queste ultime ore, la polemica politica è salita alle stelle.
Si parla di un possibile riscatto, di oltre 4 milioni di euro, o dollari, pagato dallo Stato per questa liberazione.
Ben venga, questo, per la salvezza di una persona.
Intanto, nel nostro Paese, in tempi di emergenza “Covid–19“, si negano ancora aiuti alle famiglie, già in difficoltà da tempo, e agli imprenditori italiani, ad oggi 12 suicidatisi.
È un momento che ci deve davvero far riflettere sempre di più, su cosa avviene in Italia, oramai da sempre, per pensare ad un futuro migliore per tutti.
Rocco Becce
Direttore Editoriale