Durante un’operazione antimafia denominata “Noi Proteggiamo Roma”, su proposta del Procuratore della Repubblica e del Questore della Capitale italiana, nella mattina di oggi, martedì 16 giugno, è stato sferrato un duro colpo al clan “Casamonica“, con un maxi sequestro di beni, ai fini della confisca, per 20 milioni di euro, eseguito dal personale della locale Divisione Polizia Anticrimine – Sezione delle Misure di Prevenzione.
Gli agenti del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile di Roma e del Commissariato di PS “Romanina” hanno dato esecuzione all’Ordinanza Applicativa di Misure Cautelari Personali e Reali emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di:
- C.G., di anni 50;
- C.G., di anni 70;
- C.S. , di anni 40;
- C.F., di anni 70;
- D.S.G., di anni 65;
- C.C., di anni 36;
- C.R., di anni 48;
- P.D., di anni 29;
- C.C., di anni 38;
- F.G., di anni 31;
- I.P., di anni 69;
- M.D., di anni 43;
- D.M., di anni 29;
- B.A., di anni 32;
- P.A., di anni 37.
destinatari di custodia cautelare in carcere
- B.G., di anni 38;
- C.D., di anni 44;
- P.L., di anni 71;
- P.A., di anni 65;
- M.V., di anni 41.
destinatari della misura cautelare degli arresti domiciliari
I dettagli dell’operazione sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta presso la sala riunioni della Procura della Repubblica, alla presenza del Procuratore Capo, dott. Michele Prestipino Giarritta, del Direttore Centrale Anticrimine, dott. Francesco Messina e del Questore di Roma, dott. Carmine Esposito.
I presunti indagati, come informa una nota stampa della Polizia di Stato, inviata in redazione, sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di aver preso parte all’associazione mafiosa denominata “Clan Casamonica“, in particolare all’articolazione territoriale operante nella zona Romanina-Anagnina-Morena della città di Roma, al fine di commettere:
- delitti contro il patrimonio (nella specie, usura ed estorsioni), contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi,
- affermare il controllo egemonico sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe,
- conseguire vantaggi patrimoniali dalle attività economiche che si svolgono nel territorio attraverso o la partecipazione alle stesse, ovvero con la riscossione di somme di denaro a titolo di compendio estorsivo,
- acquisire direttamente o indirettamente la gestione e/o il controllo di attività economiche in diversi settori, oltre dei reati fine di estorsione, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e intestazione fittizia di beni, tutti aggravati ex art. 416 bis.1 c.p..
Il valore dei beni sottoposti a sequestro ammonta a circa 10 milioni di euro.
Contestualmente agli arresti, personale della locale Divisione Polizia Anticrimine- Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni ai fini della confisca emesso dal Tribunale di Roma – Sezione delle Misure di Prevenzione, per un valore di circa 20 milioni di euro, nei confronti del clan mafioso.
L’odierna operazione, frutto di complesse e articolate indagini, ha consentito di individuare l’esistenza a Roma di due clan facenti capo a G.C. e a F.C., che hanno strutturato un’associazione di tipo mafioso finalizzata, attraverso la commissione di reati fine tra i quali usura, estorsione, esercizio abusivo di attività finanziaria e intestazione fittizia di beni, a procurarsi ingiusti profitti e/o vantaggi per sé e per i membri del sodalizio criminale, per ciascuno dei quali sono stati delineati ruoli e compiti.
In particolare, F.C., nel ruolo di direzione, con compiti di decisione, pianificazione delle modalità di impiego del denaro provento della illecita attività criminale del clan, provvedendo a impartire disposizioni in ordine al pagamento dei difensori dei sodali arrestati e al recupero delle somme dai soggetti usurati per conto dei sodali arrestati e partecipando personalmente alla realizzazione di molteplici delitti di usura, estorsione e in materia di armi oltre all’esercizio abusivo dell’attività finanziaria (artt. 416 bis commi I, II, III, IV, V, 416 bis.1);
L’attività investigativa è stata espletata mediante numerose operazioni di intercettazione e attività di videoripresa supportate da servizi sul territorio, assunzione di informazioni da numerose persone informate sui fatti, riconoscimenti fotografici, perquisizioni e sequestri.
Inoltre, ha avuto un fondamentale input dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui uno intraneo alla famiglia che ha potuto tracciare l’organigramma del sodalizio, riferire in merito alle attività delittuose perpetrate e, soprattutto, spiegare le dinamiche interne alla consorteria, impossibili da ricostruire in altro modo considerato l’utilizzo del sinti, lingua difficilmente decifrabile.
Tali dichiarazioni hanno consentito non solo di riscontrare i singoli episodi delittuosi ma soprattutto di attestare l’esistenza di un sodalizio criminoso caratterizzato, nel suo operare, da modalità evidentemente mafiose.
Tutti i collaboratori hanno descritto chiaramente la particolare struttura del clan:
un sistema complesso costituito da più nuclei familiari, collegati tra loro in maniera orizzontale e non verticistica, dediti a numerose attività criminali, i quali, pur essendo autonomi, sono sempre pronti a unirsi qualora vi sia necessità di far fronte a pericoli o minacce provenienti dall’esterno, in quanto legati da un comune seno di appartenenza alla stessa famiglia.
La conferma della struttura orizzontale e dell’autonomia delle diverse famiglie che compongono il clan proviene direttamente dalle intercettazioni svolte nel corso delle indagini.
Il senso di appartenenza ad una associazione di stampo mafioso equiparabile alle consorterie tradizionali, camorra o la ‘ndrangheta e il riconoscimento della sussistenza del vincolo associativo vengono ribaditi in modo esplicito nel corso di un’altra emblematica conversazione captata durante l’attività tecnica.
Nel corso delle attività è stata ricostruita la storia dei due gruppi familiari nel corso dell’ultimo ventennio, anche attraverso l’acquisizione dei diversi provvedimenti adottati nel tempo dall’Autorità Giudiziaria, e si è riscontrato che le attività illecite, commesse dai componenti dei due sodalizi criminali, sono rimaste quasi del tutto immutate.
I due nuclei familiari dei Casamonica, strettamente legati da vincoli di parentela, hanno operato in diversi quartieri della Capitale (Romanina, Anagnina, Tuscolano) nonchè verso i comuni limitrofi di Grottaferrata, Frascati, Albano, Monte Compatri e San Cesareo, radicandosi sul territorio nel corso di oltre vent’anni e riuscendo a ostentare, per il solo fatto dell’esistenza di un gruppo egemone di una comunità etnica di cospicue dimensioni presente sul territorio di Roma, una capacità di intimidazione effettiva.
Le dichiarazioni rese dai collaboratori, tutte coincidenti sul tema dell’utilizzo del metodo mafioso, dell’individuazione di un effettivo potere di intimidazione manifestato dal clan e sulle condizioni di assoggettamento delle vittime, hanno rinvenuto numerosi elementi di riscontro, anche in merito alla realizzazione di innumerevoli reati scopo quali usura, estorsione, esercizio abusivo di attività finanziaria e intestazione fittizia di beni.
Le conversazioni telefoniche e ambientali intercettate, dal contenuto esplicito e inequivocabile, hanno ulteriormente corroborato la metodologia mafiosa e la conseguente omertà delle persone offese, molte delle quali hanno manifestamente negato il loro ruolo di vittime, non offrendo alcuna collaborazione e non riconoscendo l’Autorità dello Stato.
Tale situazione ha dimostrato come il clan si sia imposto e sia stato percepito dalla generalità delle persone che abitano nella zona di influenza del sodalizio come una struttura che ha affermato il proprio predominio sul territorio.
In particolare, è emerso che le persone offese, una volta ricevuto un prestito dai Casamonica, non riescono più a sottrarsi alle richieste di denaro da parte degli indagati, stabilendo, di fatto, un legame a vita, con i creditori.
Le risultanze investigative hanno evidenziato, infatti, l’aumento degli interessi in caso di omesso pagamento delle rate nonché le gravi minacce e intimidazioni dirette al recupero forzoso del credito, attuate mediante uno schema di azione ampiamente noto e collaudato, già emerso nei numerosi processi celebrati nei confronti degli appartenenti al clan.
Schema che è stato posto in essere indifferentemente da ciascuno dei partecipi al sodalizio, a conoscenza del credito da riscuotere, anche quando concesso da altri associati, del tasso imposto e delle scadenze, con la finalità precipua di costringere la vittima, in caso di ritardo, a corrispondere, a titolo di interesse, somme sempre più elevate, in modo da impedire la restituzione del capitale e tenere gli usurati in uno stato di totale soggezione e asservimento.
Al riguardo, le modalità di recupero dei crediti, attestanti l’esercizio della forza di intimidazione proprio delle consorterie mafiose, sono risultate caratterizzate da più fasi di pressione crescente, sino a sfociare in atti di violenza morale e fisica nei confronti delle vittime e, quindi, in condotte di natura estorsiva, in quanto oggettivamente prive di giustificazione e fondate esclusivamente sulla forza di intimidazione del gruppo, il quale, a volte, non ha neanche la necessità di far ricorso a minacce esplicite per ottenere la consegna di quanto indebitamente preteso.
Gli atteggiamenti di prevaricazione, le minacce e i metodi violenti sono stati ampiamente documentati dalle operazioni di intercettazione.
Dalle indagini è emersa anche la partecipazione da parte di altri membri, anche non di etnia sinti, che hanno fornito un contributo anche materiale, con la messa a disposizione di ogni risorsa personale per qualsiasi impiego criminale richiesto, rafforzando il proposito criminoso e la potenzialità operativa del sodalizio.
Importantissimo riscontro, in ordine alle illecite attività di usura e di esercizio abusivo del credito posta in essere dagli appartenenti alla famiglia, è stato ottenuto all’esito della perquisizione eseguita presso un terreno, sito in località Ciampino, sottoposto a confisca con un provvedimento emesso nel 2017 dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione nei confronti di G.C.
Nel corso dell’attività di Polizia Giudiziaria, infatti, è stato rinvenuto, abilmente occultato sotto terra, un involucro completamente avvolto da nastro isolante che custodiva assegni bancari, chiaramente rilasciati dalle vittime a garanzia del prestito ottenuto, e alcuni manoscritti contenenti le liste dei nomi degli usurati, con l’indicazione, per ciascun soggetto, del giorno del mese in cui effettuare il pagamento degli interessi, dell’importo della rata mensile e dell’ammontare del denaro prestato, ossia il capitale da restituire.
Parimenti, ulteriori riferimenti a prestiti di natura usuraria, sono stati rinvenuti in altra documentazione trovata in possesso di coloro che hanno agito per conto del clan, come M.D. e P.I.
In particolare, le persone in questione sono state trovate in possesso, rispettivamente e in distinte circostanze, di buste da lettera sul cui retro erano elencati una serie di nominativi associati all’ammontare del denaro, in alcuni casi incassato e in altri no, e di un’agendina sulla quale erano segnati dei soprannomi contraddistinti da utenze telefoniche e da una o più cifre.
L’analisi di tale documentazione ha consentito di rilevare l’esatta corrispondenza di alcuni nominativi e/o pseudonimi con quelli presenti sulle liste sequestrate in occasione della perquisizione effettuata nel citato terreno confiscato.
I conseguenti accertamenti, inoltre, supportati dalle risultanze dell’attività tecnica, hanno permesso di ricostruire i delitti di usura e/o estorsione commessi dal clan nei confronti di oltre 30 persone, nonchè l’esercizio abusivo del credito verso circa 50 persone.
L’inchiesta giudiziaria ha per di più comprovato la rilevante disponibilità di denaro da parte degli appartenenti al clan, quale provento delle attività illecite, atteso la pressoché inesistenza di redditi ufficiali.
Analogamente, è stata documentata la maggiore cautela adottata negli ultimi anni, sopratutto a seguito delle misure di prevenzione patrimoniali adottate dall’Autorità giudiziaria così come del clamore mediatico generato dal funerale di V.C., che ha indotto a preferire investimenti non tracciabili (acquisti di auto, abbigliamento e accessori di lusso, tutti rigorosamente in contanti), o l’utilizzo di prestanome di assoluta fiducia.
I proventi dell’attività illecita acquisiti dagli indagati, oltre ad essere destinati al sostentamento delle famiglie dei detenuti e per il pagamento delle spese legali, sono stati investiti mediante occultamento dei reali titolari dei beni e intestazione a soggetti prestanome, continuando invece i Casamonica a gestire di fatto le attività, così, come gli immobili, e ad acquisire i relativi introiti utilizzati per il sostentamento della vita dell’associazione medesima.
In particolare, è emerso un grave quadro indiziario in ordine all’acquisizione di una società intestata fittiziamente a G.F., compagna di C.C., tramite la quale quest’ultimo gestiva in modo occulto un esercizio commerciale e un impianto distributore di carburanti ubicati a San Cesareo.
Il clan, attraverso l’esposizione debitoria di A.B., è riuscito a subentrare nelle attività commerciali dallo stesso gestite, secondo la strategia esplicitata da C.C., il quale si è avvalso della sua compagna per non figurare direttamente quale titolare della società, con l’evidente finalità di scongiurare in futuro il sequestro dei beni.
L’ingerenza del sodalizio finalizzata all’acquisizione delle attività commerciali è risultata dal contenuto dei dialoghi intercettati, molti dei quali assolutamente espliciti, idonei a comprovare l’obiettivo, poi attuato, di acquisizione dell’attività, con licenza per slot machine, al quale è annesso anche il distributore di benzina.
Altrettanto eloquenti i dialoghi inerenti l’obiettivo preordinato di C.C. di costituire una società per la gestione dell’attività amministrata dalla compagna, nonchè di affidare la gestione all’indagato P., che ha anche contribuito all’attività preordinata all’attribuzione fraudolenta.
Altra vicenda riguarda l’intestazione fittizia delle quote sociali di una società tramite la quale G.C. e S.C.hanno gestito in modo occulto l’esercizio commerciale.
Il complessivo materiale probatorio acquisito nel corso delle investigazioni ha reso evidente come la titolarità delle quote societarie, formalmente intestate per il 99% a M.L.M., di fatto è stata rilevata con il provento dell’illecita attività di usura ed esercizio abusivo di attività finanziaria, al fine di affermare la propria egemonia sul territorio, di acquisire il controllo delle attività economiche e di procurarsi ingiuste utilità, in attuazione degli scopi e degli obiettivi dell’associazione criminosa della quale G.C.e S.C. fanno parte.
Nel corso delle indagini sono stati raccolti gravi elementi probatori anche in merito alle intestazioni fittizie delle 2 ville, dove dimorano G.C., di anni 60, e il figlio G.
L’attività investigativa ha confermato che al fine di ostacolare l’adozione di misure patrimoniali, gli appartenenti al clan nel corso degli anni hanno modificato i luoghi di residenza al fine di rendere maggiormente difficile l’individuazione dei nuclei familiari effettivamente presenti presso un determinato domicilio.
In particolare, gli accertamenti degli investigatori hanno consentito di ricostruire le vicende intercorse nel tempo in ordine alla proprietà della villa situata in via Flavia Demetria.
Rocco Becce
Direttore Editoriale