La DIA (Direzione Investigativa Antimafia) ha eseguito oggi un provvedimento di confisca di beni emesso dal Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di F.E.A., 64enne reggino, imprenditore noto nel settore della grande distribuzione alimentare e del commercio di autovetture.
Come informato in un comunicato stampa inviato in redazione, l’ingente patrimonio sottoposto a confisca, il cui valore complessivo supera i 20 milioni di euro, ha interessato ben 8 aziende.
Per 4 è stata disposta la confisca dell’intero capitale sociale e del patrimonio aziendale, per le altre 4 la confisca delle quote riconducibili al F., tutte con sede a Reggio Calabria ed attive nei settori della grande distribuzione alimentare, del commercio automezzi, delle costruzioni ed immobiliare, 20 immobili, per l’intera proprietà o in quota e rapporti finanziari.
Con lo stesso provvedimento il Tribunale ha applicato nei suoi confronti la sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per la durata di 3 anni e 6 mesi.
L’operazione, consegue al sequestro dei beni operato nel febbraio del 2019 a seguito di una proposta formulata dal Direttore della DIA nel contesto di un’attività investigativa coordinata dal Procuratore Distrettuale della Repubblica di Reggio Calabria, dott. Giovanni Bombardieri.
Nel provvedimento il Tribunale ha riconosciuto nei confronti dell’imprenditore una pericolosità sociale fondata principalmente sulle risultanze dell’operazione “Fata Morgana”, poi confluita nella “Ghota”, nel cui ambito, nel 2016, è stato tratto in arresto.
In merito, l’accusa è di aver fatto parte della cosca “Libri” ponendosi, all’esito della guerra di mafia, quale espressione della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare e, più in generale, dell’imprenditoria di settore, oltre ad aver turbato il regolare svolgimento delle pubbliche gare nell’affare che consentiva ad un altro imprenditore di inserirsi nel consorzio dei commercianti del centro commerciale “La Perla dello Stretto” di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria.
Per questa vicenda, l’imprenditore reggino, è stato condannato, con sentenza di primo grado emessa nel marzo del 2018 dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Reggio Calabria, a 13 anni e 4 mesi di reclusione, per associazione di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti, aggravata dal metodo mafioso.
Numerosi collaboratori di giustizia lo hanno indicato quale imprenditore espressione della ‘ndrangheta reggina, nella sua componente più alta e rappresentativa, costituita anche dalla famiglia “De Stefano“.
Il suo strettissimo rapporto con esponenti di primo piano della cosca emerge anche nell’ambito dell’operazione “Recherche”, mentre la vicinanza con esponenti apicali del sodalizio LIBRI anche dalla “Roccaforte”.
Le investigazioni patrimoniali svolte sull’intero patrimonio dell’imprenditore hanno consentito di acclarare una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati, idonea, secondo i giudici “a ritenere di provenienza illecita le risorse impiegate e, di conseguenza, inquinati i ricavi successivamente ottenuti”.
Il provvedimento del collegio giudicante afferma testualmente “si è dunque in presenza di una di quelle ipotesi comunemente definite di c.d. “impresa mafiosa”, che pur operando nei mercati ufficiali con modalità formalmente legali, si avvale nel concreto svolgimento dell’attività di impresa del c.d. metodo mafioso e/o costituisce strumento di cui si serve l’organizzazione criminale per conseguire le proprie finalità illecite e mantenere il controllo del territorio”.
Redazione